Cambiare per evolversi

Cambiare per evolversi

Allenarsi al cambiamento come opportunità di costante evoluzione

Quando elogiamo un coach nello sport, facilmente pronunciamo frasi tipo: “ha cambiato totalmente quel giocatore o quella squadra, arrivando a risultati incredibili”.

Sembrerebbe, quindi, che – a prescindere dal settore – il successo di un coach sia proporzionale al cambiamento finale ottenuto. In realtà non possiamo sapere (a meno che mettendo in rapporto dei dati numerici tra prima e dopo) in cosa sia realmente consistito tale “cambiamento”. Inoltre così si rischia una semplificazione che può anche portare con sé un velato giudizio sul valore del singolo atleta o del team, prima dell’arrivo del coach. Un po’ come dire: proprio e solo perché ora sono cambiati, sono vincenti o comunque performano meglio di prima. In altre parole: se fossero stati già perfetti (e magari vincenti) prima, non avrebbero avuto tanto “bisogno di cambiare”.

Questo esempio è utile per provare a definire un possibile preconcetto, o se vogliamo imbarazzo, o scomodità o disagio, che in alcuni casi può sorgere in ognuno di noi, in rapporto al termine CAMBIAMENTO.

Perché ora mi si parla di cambiamento?
Forse perché non vado (più) bene così come sono?

Immaginiamo ad esempio un’importante azienda, già di alto livello, in cui a un certo punto il top management decida di affidare un incarico a un business coach. La naturale reazione, all’interno, potrebbe essere di chiedersi, già rispetto a questa scelta (che, attenzione, è di per sé un cambiamento, rispetto al “non avere mai avuto a che fare con una figura formativa di questo tipo”): “ma… a cosa dovrà mai servire questo coach?”

Cioè: la sola possibilità che qualcuno aspiri a un cambiamento, potrebbe già in sé rappresentare una minaccia rispetto al solido e rassicurante totem del “ma perché non continuare come si è fatto fino a oggi?”

È qui che ci vengono in aiuto queste preziose parole di Carl Rogers, il padre della cosiddetta psicologia umanistica americana, che dice “Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare.”

Possiamo restare sorpresi a scoprire che questo “curioso paradosso” è perfettamente valido anche per l’esempio iniziale del coach vincente nello sport. Poiché infatti, soprattutto in contesti di sport professionistico, è difficile immaginare che un coach arrivi e trovi atleti tanto scarsi e per magia li trasformi in super campioni, è in tutt’altra prospettiva che va considerato il lavoro di un bravo coach.

“Allenarsi al cambiamento” come opportunità di costante evoluzione


Questa prospettiva comincia dal prendere molta più consapevolezza intanto su noi stessi, ovvero sul “come” siamo fatti.

Ognuno di noi ha non a caso un modo proprio di funzionare, quasi fosse un “libretto delle istruzioni” del tutto unico e prezioso, insostituibile. E solo la conoscenza profonda del come funzioniamo può esserci d’aiuto nel funzionare ancora meglio.

È proprio questo il valore aggiunto di un bravo coach nello sport o anche di un business coach per un’azienda. Di conseguenza un cambiamento può nascere solo “nel rispetto” del proprio funzionamento di partenza, man mano cioè che scopriamo e padroneggiamo ulteriori competenze e capacità che in realtà fanno già parte di noi.

Consapevolezza, quindi, unita alla progressiva messa da parte della componente “giudizio” (o anche: pregiudizio), perché non è una questione di pagelle su quanto siamo reattivi oppure analitici, quanto una presa di coscienza di come abbiamo imparato a utilizzare tali componenti esclusive del nostro modo di essere.

In fondo ci capita di restare sorpresi dall’incredibile capacità di un microscopico organismo virale di mutare per continuare a esistere, e allora perché avere paura o riserve sulla possibilità di cambiare noi stessi per essere persone ogni giorno nuove e più adatte alle sfide che man mano ci si prospettano?

Chiaro: cambiare non è affatto facile, perché solitamente “le vecchie abitudini” sono sempre terribilmente comode e a portata di mano. Inoltre non tutti vogliono sapere quali possono essere i propri attuali “limiti di funzionamento” (= aree potenzialmente critiche, specie in caso di stress…) per poi impegnarsi a superarli. Sì, diciamolo pure, diventare e riscoprirsi migliori può essere anche faticoso, ma certamente è fonte di soddisfazioni spesso inattese.

Per fare questo serve prima di tutto l’ascolto. Il potenziale di ogni persona si rivela infatti in modo direttamente proporzionale alla qualità dell’ascolto e del grado di accettazione che si dedica alla stessa persona.

L’unico uomo che possa considerarsi educato è colui che ha imparato a imparare; che ha imparato ad adattarsi e a mutare; che sa che nessuna conoscenza è certa, e che solo il processo di ricerca della conoscenza costituisce una base di certezza.
Carl Rogers

LEGGI ANCHE

Tipi e modelli di coaching

Nella vita di ogni persona, la sfera privata e quella lavorativa sono praticamente due facce della stessa medaglia e spesso una influenza l’altra. L’aspetto alla base del coaching, che più lo caratterizza rispetto ad altre professionalità, è di essere un percorso estremamente personalizzato. Nella vita di ogni persona, infatti, la sfera privata e quella lavorativa sono praticamente due facce della stessa medaglia e spesso una influenza l’altra.

Il processo e gli strumenti del coaching

I processi di coaching possono essere concettualmente differenti; si passa da un alto livello di definizione come il G.R.O.W., a un modello più semplice in tre fasi come il processo di cambiamento di Lewin (cfr. Lewin, 2015).

Differenza fra coach e counselor, mentoring, psicologo, psicoterapeuta e altre figure professionali d’aiuto

Dedichiamo questo articolo a un necessario approfondimento delle differenze fra professioni più attuali e ancora meno focalizzate o poco note nei loro aspetti chiave e tradizionali, in particolare fra coach e counselor, mentoring, psicologo e psicoterapeuta, nonché altre figure professionali d’aiuto.

CONTATTACI